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domenica 15 marzo 2015

Neonatale

Tu che dormi soavemente.
Le tue guance paffute, rosee.
Il tuo dolce riposo, un inno alla primavera.
Tu che stringi la coperta tra le manine. come sei piccola! 
Ma sei già così attaccata alla vita.
Tu che non hai giudizi nè preconcetti, ma solo una coperta tra le mani da stringere quando sei sola.
Tu che sei pura.
Dormi, dormi.

E poi arriva il troppo tardi.

La vita grigia fuori da una finestra, persiane abbassate e neppure quella poca luce plumbea entra.
Sospiri.
Fiori sfioriti, gialli, su un tavolo lucido.
Ti guardi allo specchio, hai le rughe, le macchie blu della pelle sotto gli occhi.
Appari, ma non sei.
È passato tanto tempo, ti è scivolato tra le mani ma non ne hai tenuto neanche un pezzetto come ricordo di come si vive.
È ora tutto fugace, costernato, irrisolto e precipitoso.
Come è diversa la vita nella tua testa e la vita lì fuori?
Immagini di speranza e di cambiamento si alternano come raggi di sole dietro un'eclissi ma poi torna l'ombra.
Sei stanca ma vai avanti.
Finché non è troppo tardi.
Tu lo sai che arriverà quel giorno e lo attendi con una certa ilarità, nel tuo vestito migliore perché da lì inizierà una nuova te.
In un giorno ordinario sul tavolo con i fiori ingialliti hai trovato un regalo, una scatolina blu, più blu dell'indaco, un regalo inaspettato ma fin troppo aspettato.
oramai è troppo tardi, quindi vai alla finestra tiri su le persiane, c'è il sole.
Inspiri.
Finalmente è arrivato il tuo giorno.


mercoledì 4 marzo 2015

207

Centonovantadue ore chiusa qui, tra muri di un verde menta che ti limitano il respiro. 
Centonovantadue ore di attesa, di disillusione, di calma, di paura, di razionalità, di sobbalzi di cuore, di speranza.
Centonovantadue ore in cui ho pregato e mi sono affidata alla legge mistica perché il karma non si può cambiare ma si può pulire lucidando la nostra vita a suon di daimoku.
Centonovantadue ore in cui ho sentito sulla mia stessa pelle la vita fugace quale essa è ed ho rafforzato il concetto che siamo tutti diversi, che il dolore è l unico metro per misurare l amore e l unico comun denominatore in una stanza di un ospedale.