Studiando per fare l'introduzione delle 8 sofferenze per riunione buddista 21 giugno 2018.
Le otto sofferenze sono nascita, invecchiamento, malattia, morte, l'unione con ciò che non si ama, la separazione da ciò che si ama, non raggiungere ciò che si desidera e i cinque legami.
La nascita è dolore seppur sia un esperienza lontana di cui non tratteniamo ricordi vividi.
Il canale della nascita che dobbiamo attraversare è sofferenza ed è sofferenza anche il doversi staccare dal grembo materno e venire a contatto con le cose che esistono fuori da esso.
Ma rapportato alla realtà fenomenica del nostro presente, la nascita è intesa in modo più continuativo. Tutte le volte che usciamo da situazioni disfunzionali, che ci provocano dolore per esempio e quindi affrontiamo la sofferenza di doverci reinventare,di spingere i nostri limiti più in là, di rinascere sotto una nuova luce.
L'invecchiamento ci riporta ad una visione ancora più profonda della vita perché ci obbliga a vedere il tempo che passa e a realizzare che la vita stessa non è altro che un bene finito, deteriorabile come un qualsiasi barattolo di pomodoro in dispensa.
Il dolore nasce dunque da quell'attaccamento temporaneo al nostro essere che si vorrebbe fissare per sempre ma che sarebbe davvero poco allineato con la legge dell'universo e della vita in continuo movimento.
La malattia è un alterazione delle funzionalità del nostro corpo e ci provoca un dolore sia fisico che mentale, perché non possiamo avere la piena padronanza di noi stessi.
In questa situazione si paventa la disillusione di un futuro diverso da quello sperato e la mera possibilità della sconfitta.
La morte porta con sé tre sofferenze: la sofferenze di chi vive, la sofferenza di chi muore e la sofferenza di chi è morto.
Questo è altamente comprensibile ma nel buddismo parliamo di morte anche quando si ha paura di un cambiamento, di una perdita, di una instabilità, di una tragedia, di una separazione perché lei strappa via le nostre mani dagli attaccamenti.
Il non ottenere ciò che si desidera provoca sofferenza.
Una prova concreta l'abbiamo già dall'infanzia, nella quale per esempio desideriamo un giocattolo che non ci viene mai regalato.
Nell'adulto sostanzialmente questa brama non appagata diventa motivo di difficoltà e sfiducia nella vita.
Nel buddismo però sappiamo che i desideri sono illuminazione, sono quell'humus fertile che ci permette di incentivare la nostra crescita.
Dover incontrare chi si odia è la quinta sofferenza dell'uomo.
Odio sicuramente è un termine connotativo forte, ma rende bene l'idea degli incontri poco piacevoli che facciamo nella nostra vita, in uno stato vitale molto basso.
Proviamo odio verso qualcuno che riflette una parte di noi stessi che non vogliamo vedere e seppelliamo perché non ci piace, ma che viene fuori attraverso la relazione con un altro simile a noi per quell' aspetto.
Chi non si ama è destinato ad incontrarsi ma è tutto volto a migliorare i nostri lati oscuri.
Si possono incontrare non solo persone ma anche situazioni non benevole, addirittura passate che fanno scatenare in noi ira, odio e rancore.
Il motivo per cui abbiamo questi incontri è prettamente karmico.
Se una situazione ci crea sofferenza , nel buddismo è solo un espressione del karma e per svoltare positivamente c'è bisogno di tanta pazienza, tanta fatica, tanto tempo e tanta dedizione al daimoku.
Doversi separare da chi si ama è un dolore lacerante, ma spesso dietro questo soffrire c'è un attaccamento smisurato alla vita.
La vita però deve essere intesa e compresa come un entità in continua evoluzione e quindi tutto cambia, nulla è costante e accettare questa condizione costantemente precaria rende noi esseri umani vulnerabili.
Per noi che ricerchiamo minuziosamente delle verità durature questo movimento della vita crea paura.
Il problema è che noi basiamo la nostra esistenza sulla presenza di un altro e quando questo viene a mancare il distacco ci lacera.
Recitare daimoku non ci rende immuni dal dolore ma bensì ci dirige verso relazioni basate sulla buddità piuttosto che sull'utilitarismo.
Il disordine delle cinque componenti è la sofferenza più complessa da comprendere, considerando che le altre sono abbastanza intuitive.
Io sono composto da 5 elementi: forma, percezione, concezione, volizione e consapevolezza.
Queste componenti coesistono in noi sempre e il loro disallineamento crea disagio perché ci separa da noi stessi.
Soffro quando c è divario tra quello che sono e quello che sento, tra quello che sento e quello che giudico ottimale, tra quello che giudico ottimale e quello che realmente desidero e in ultimo tra quello che desidero e ciò che sono in grado di fare.
In ogni caso dobbiamo ricordarci che ognuno di noi è unico proprio per come si combinano questi 5 elementi e soprattutto a seconda dello stato vitale in cui si trova.
Se predilige lo stato di inferno i nostri aggregati funzionano basandosi su questo stato vitale. Quindi sarò in un corpo contratto, immobile, braccato da mille pensieri negativi, vorrei uscire ma non posso dovrei uscire ma è meglio di no e così via dicendo. Tutto il mio essere è comandato dal mondo dell'inferno.
Solamente nello stato di buddità i 5 elementi portano alla comprensione e al raggiungimento della felicità.
Con questa determinazione dobbiamo far sì che tutte le parti si accordino e con la mente illuminata provare gioia ed essere realmente partecipe della vita universale.
Concepirci come parte del cosmo senza limitarci al nostro piccolo io.
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